I misteri della terra dei fiordi:la tribù perduta
Articolo di Francesco Lamendola: I misteri della terra dei fiordi:la tribù perduta
I misteri della terra dei fiordi
Misteriosa è la Fiordland, l’estrema punta sud-occidentale della Nuova Zelanda.
E’ una terra incredibilmente fuori del tempo, ammantata di grandi foreste che, a dispetto del clima temperato-fresco (a sud di essa c’è solo l’Antartide), ricevono una quantità di precipitazione paragonabile a quella dei luoghi più piovosi del pianeta.
Costellata di laghi dalle acque cristalline e dominata da montagne, ghiacciai e cascate spettacolari, essa esercita un fascino potente sul visitatore.
È una terra ove l’uomo non si è mai insediato da padrone né il maori, né il bianco , limitandosi a costeggiarne gli altissimi fiordi affacciati sul Pacifico meridionale. Per poi stabilirsi, ma con estrema discrezione e quasi in punta di piedi, ai suoi margini, ove il terreno è meno accidentato e il clima un po’ meno piovoso.
La Fiordland è in grado di riservare molte sorprese, specie nel campo della criptozoologia.
Poco dopo la seconda guerra mondiale vi è stato riscoperto, vivo e vegeto, un uccello straordinario che si credeva estinto da gran tempo, il takahe.
Alcuni credono perfino (o sperano) che nelle sue dense foreste si celi qualche esemplare minore del famoso Moa (Dinornis maximus).
Il Moa il più grande uccello non volatore mai vissuto sulla Terra, almeno in tempi storici. Ma un mistero ancora più grande è quello della Tribù Perduta: una tradizione che alcuni vorrebbero puramente leggendaria.
Mentre esistono seri elementi per pensare ch’essa possieda una vera e propria base storica, e che si riferisca ad avvenimenti reali, peraltro misteriosi e difficili da spiegare.
Elementi che rimettono in discussione l’inspiegabile sparizione di singoli individui ma anche, talvolta, di interi gruppi umani. Persone delle quali la Storia ha perso le tracce.
Senza avere nemmeno (come nel caso dell’armata scomparsa di Cambise nel deserto egiziano) il più piccolo indizio su dove possano essere andati a finire?
La leggenda o la storia dei misteri della terra dei fiordi
La leggenda, o la storia (difficile dire quale delle due) della “Tribù Perduta” della Nuova Zelanda è una delle più singolari e affascinanti del suo genere.
La scomparsa di singoli individui, magari famosi (come nel caso di Ettore Maiorana) ha sempre suscitato curiosità e stupore.
Ma la scomparsa di un intero gruppo umano, relativamente numeroso, è uno di quei fatti che sfidano la nostra capacità di comprensione.
In questo caso, poi, mancano del tutto quegli indizi che possono illuminare l’enigma di altri casi analoghi, come quello, assai noto, dell’armata persiana di Cambise.
L’armata scomparve mentre marciava dalla valle del Nilo verso l’Oasi di Siwa, nel Deserto Libico.
(1) Pertanto, la reazione istintiva davanti a un caso come quello della “Tribù Perduta” è quella del rifiuto preconcetto anche della sola possibilità.
Sentiamo che, ammettendola, ci spingeremmo su un terreno totalmente sconosciuto, privo di tutti gli abituali punti di riferimento.
Ma la verità è che questo sarebbe un atteggiamento irrazionale, e non già accogliere il fatto sia pure come ipotesi di ricerca.
Il mistero, infatti, supera per definizione le nostre possibilità di comprensione sul piano strettamente logico-razionale, ma nulla e nessuna ci assicura che la logica formale sia la sola ed autentica forma di conoscenza della realtà.
Bisogna avere l’umiltà di riconoscersi piccoli davanti al mistero, e, al tempo stesso, trovare il coraggio intellettuale di prendere in considerazione altre forme e altre modalità di esperire il mondo intorno a noi.
Alla fine della presente ricerca tenteremo, comunque, di formulare alcune ipotesi per spiegare la scomparsa della “Tribù Perduta”.
Alcune ipotesi sulla “Tribù perduta.”
I misteri della terra dei fiordi
Ma con la chiara e onesta consapevolezza che solo di ipotesi si tratta, e che il mistero, in definitiva, è destinato a rimanere tale.
Per quanto noi possiamo considerarlo scomodo o irritante per la nostra mentalità eccessivamente dominata da un Logos strumentale e calcolante.
In Italia, che noi sappiamo, non esiste una bibliografia neanche minima sull’argomento.
Siamo stati noi, più di venti anni fa, a introdurre il tema della leggendaria “Tribù Perduta” del popolo maori, nel contesto di un’opera letteraria di fantasia, sia pure basata su dati storici reali. (2) In quella sede ci siamo permessi una sola licenza poetica, quella di collegare due tradizioni storiche appartenenti ad epoche diverse.
Quella sulla “Tribù Perduta”, che risale al XVIII secolo, e quella del viaggio verso l’Antartide del navigatore Hui-Te-Rangi-Ora, che è molto più antica, poiché andrebbe collocato verso il VII o l’VIII sec. d. C.
Della seconda ci siamo poi ampiamente occupati in una ricostruzione scientifica che è stata pubblicata su una rivista specializzata di geografia polare.
(3) Comunque, nel racconto La bambina dei sogni ci eravamo limitati a porre la questione della scomparsa della tribù maori.
Senza più riprenderla in una prospettiva di ricostruzione storica.
Il primo elemento di cui occorre tener conto, in quella vicenda, è la scarsità della popolazione indigena nell’Isola del Sud dell’arcipelago neozelandese.
Come l’Isola Stewart (la terza in ordine di grandezza), rimase ai margini della colonizzazione polinesiana.
La popolazione dei Maori
I misteri della terra dei fiordi
I Maori, che costituirono la “seconda ondata” di popolamento dell’arcipelago (prima di loro era giunta una popolazione di origini incerte, i “cacciatori di moa”, che iniziarono il dissesto del manto vegetazionale e della fauna locale).
Essi venivano quasi certamente da Hawaiki e, con la loro tecnologia rudimentale, ignari della lavorazione dei metalli e della terraglia, non amavano molto il clima decisamente fresco dell’Isola del Sud.
Scrivono in proposito G. Corna Pellegrini e S. Raiteri:
“L’origine polinesiana dei maori li porta a scegliere, per il loro insediamento, le regioni più settentrionali dell’Isola del Nord, dove ritrovano un clima più simile a quello delle isole dalle quali provengono”.
E ancora: “Fino agli inizi dell’Ottocento gli abitanti della Nuova Zelanda erano unicamente Maori. E si concentravano quasi tutti nell’isola del Nord, preferenziando soprattutto le zone costiere”.
(4) Benché poco numerosi, i Maori dell’isola del Sud proseguirono ed aggravarono lo squilibro ecologico già innescato dai loro predecessori.
“Le foreste, che già avevano iniziato a morire – sostengono D. Lews e W. Forman – e i loro abitanti, i moa, alla fine furono costretti a soccombere al fuoco. Il fuoco era impiegato dai Maori come metodo di caccia. Il fuoco è sempre stato un’arma molto importante del cacciatore.
Nel breve volgere di 250 anni, tra il 1.100 e il 1.350, la distruzione delle foreste che ancora ricoprivano le pianure di Canterbury e Otago era stata portata a compimento dai cacciatori.
Vaste estensioni di cespugli, disseminate di faggi, sostituirono le foreste bruciate e fornirono un ambiente povero, privo di semi e bacche.
Il declino dei Moa, i misteri della terra dei fiordi
I moa subirono una decimazione e verso il XVII secolo erano estinti; parallelamente, anche la popolazione di cacciatori declinò. Privati della principale risorsa di cibo, i Maori evacuarono le zone interne dell’Isola del Sud e si riportarono lungo le coste.
La mano dell’uomo, infine, che aveva alterato il fragile equilibrio della foresta tropicale e dei suoi abitanti incapaci di volare, gradualmente esaurì le risorse del mare e della costa la popolazione dell’isola del Sud declinò.”
(5) Se l’Isola del Sud era poco popolata, la sua estremità sud-occidentale era praticamente disabitata, come del resto lo è anche al giorno d’oggi. Si tratta di una regione dalla morfologia alpestre di recente modellamento glaciale, con valli strette e profonde, montagne scoscese, cascate spettacolari e numerosissimi laghi formati dallo scioglimento dei ghiacciai, molti dei quali tuttora esistenti.
Ammantata da una fitta e rigogliosa foresta di faggi antartici (Nothofagus) e di pino kauri dal tronco robustissimo, con un sottobosco di felci arborescenti del genere Dicksonia che ricordano l’antichissima vegetazione dell’era terziaria
(6), è sferzata dai venti occidentali delle medie latitudini australi
(7) e innaffiata da piogge copiosissime, quali si registrano solo nell’Amazzonia o nell’Assam, ai piedi della catena himalaiana.
Le nebbie sono frequenti e le giornate di sole non molto frequenti. I
l clima ricorda in tutto e per tutto quello dell’estremità meridionale del Cile, all’altro capo dell’immenso Oceano Pacifico.
Tali caratteristiche ne fanno una terra strana e difficile, che tiene lontana la presenza umana e che ha preservato a lungo la flora e la fauna indigena, sottraendola alle distruzioni recate dall’uomo.
I fiordi, Fiordland
I misteri della terra dei fiordi
I fiordi della zona costiera, che hanno dato il nome di Fiordland all’intera regione, erano bensì frequentati dai pescatori Maori.
Con le loro grandi piroghe, si spingevano non solo all’Isola Stewart, ma anche alle sub-antartiche Isole Auckland, 500 km a sud dell’estremità meridionale della Nuova Zelanda
(8); ma l’interno era ed è rimasto praticamente inaccessibile.
Questa la cornice in cui si svolge la vicenda legata alla tradizione della “Tribù Perduta” dei Maori.
Una cornice grandiosa e inquietante, uno dei pochi luoghi della Terra (oltre alle regioni polari) non si sente padrone assoluto né si comporta da prepotente invasore nei confronti delle altre forme di vita.
Ecco come la presentava, alcuni decenni fa, il giornalista John Forbis; e la sua descrizione è ancor valida, nonostante negli ultimissimi anni sia stato fatto qualche timido tentativo d’impiantare un turismo di massa.
Milford Sound ed i misteri della terra dei fiordi
Facendo perno sul fiordo più bello e famoso, il Milford Sound.
“A meno di 160 chilometri da Invercargill, un’operosa città della Nuova Zelanda, si stende per oltre 1.200.000 ettari una vasta regione selvaggia che ha spezzato il core a molti uomini.
Il luogo ha infranto i loro sogni e causato la loro morte e che ancor oggi nasconde molti misteri.
“Nessuno sa per certo cosa ci sia in quella plaga? Per la semplice ragione che nessuno l’ha mai vista” dice Nagel Duckworth, pilota neozelandese, allevatore di pecore a tempo pieno ed esploratore a tempo perso.
“Nota come Fiordland, o Terra dei fiordi, questa regione è tutta un continuo succedersi di cime e di voragini. Un susseguirsi di valli strette e profonde e di laghi nascosti, di nude vette alpine e di fitte foreste pluviali.
Da due secoli resiste ai reiterati tentativi di conquista da parte dell’uomo.
Era ancora quasi tutta da scoprire quando, nel 1904, fu dichiarata Parco Nazionale, e ogni successiva esplorazione è avvenuta in un certo senso casualmente.
Lungo il versante bagnato dal mare, numerose barche da pesca si addentrano nelle insenature e nei fiordi.
Ma anche dopo averli percorsi per tutta la loro lunghezza (in alcuni casi di una quarantina di chilometri) non è poi possibile esplorare l’interno. Perché ripide pareti di roccia e valli inaccessibili sbarrano il cammino.
“A chi viene dalle ondulate pianure meridionali dell’entroterra, la Fiordland si para davanti all’improvviso.
Laghi di un azzurro cobalto dai melodiosi nomi maori – Anau, Manapouri, Hauroko – estendono i loro bracci fra montagne dall’altezza vertiginosa.
La spedizione
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Alcuni anni fa una spedizione tentò di attraversare i 30 chilometri che separano un lago interno dal Dusky Sound. Ma rinunciò al tentativo dopo tre settimane, quando non aveva percorso neanche metà della distanza.
“Ma non è solo il terreno a difendere la Fiordland dall’invasione dell’uomo. Improvvisi e violenti temporali fanno cadere su alcune zone quasi 800 centimetri di pioggia all’anno.
Aborigeni e cacciatori esperti dicono di essere rimasti bloccati dalla pioggia in queste regioni per settimane di fila.
Parlano di campeggi spazzati via da fiumi gonfiatisi da un giorno all’altro e di nebbie talmente fitte che “quando allunghi un braccio non vedi più la mano”. “
Sotto l’aspetto geologico, la Fiordland deve il suo profilo irregolare a tre distinte ere glaciali relativamente recenti.
L’ultimo ciclo glaciale ebbe fine circa 15.000 anni fa, dopo aver eroso e scolpito le vette frastagliate, le alte valli e le ampie voragini della regione.
” Il folclore maori, però, dà una spiegazione più romantica dell’origine di questa terra misteriosa.
Un dio benigno, dice la leggenda, volle rendere le montagne più utili all’uomo spaccandole con la sua massiccia ascia di pietra per lasciarvi entrare l’oceano.
All’inizio, a sud, i suoi fendenti erano ancora maldestri e il dio lasciò troppe isole.
Ma procedendo verso nord acquistò esperienza e con colpi ben precisi aprì fiordi stretti e profondi dove gli uomini potevano pescare senza pericolo e trovar riparo per le loro canoe.
“Sebbene la Fuordland rimanga una terra aspra e impervia, è lì che è avvenuta la prima colonizzazione europea della Nuova Zelanda.
Nel 1773 il capitano James Cook gettò l’ancora nel Dusky Sound per far riposare i suoi uomini e riparare la nave danneggiata da una tempesta.
Dusky Sound e la caccia
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Cook vi rimase più di un mese e sono ancora visibili i ceppi di alcuni podocarpi, conifere dure come il ferro, che i marinai abbatterono per sgombrare un’area da utilizzare per osservazioni scientifiche.
“Dopo Cook, fino al 1823, Dusky Sound fu una base per la caccia abusiva alle foche e uno scalo di fortuna per baleniere.
Anche se di breve durata, fu la prima colonia europea della Nuova Zelanda e il fiordo fu il luogo dove sorse la prima casa, avvenne il primo naufragio e fu varata la prima nave costruita in Australasia.
“Ci furono navigatori che esplorarono le coste della Fiordland, scandagliarono il fondo marino e fecero carte nautiche di molte delle sue tortuose insenature, ma anche per questi coraggiosi l’entroterra presentava difficoltà insormontabili.
Ci vollero uomini di terra e non marinai per affrontare quelle impervie montagne.
Alcuni erano cercatori d’oro, altri scienziati, altri ancora pionieri in cerca di una facile via al mare attraverso la Fiordland.
“Ancor oggi c’è una sola carrozzabile che attraversa il Parco Nazionale da Te Anau a Milford Sound. Richiede agli automobilisti una rara perizia e vere acrobazie di guida.
Il percorso si snoda e sale con stretti tornanti a più di 900 metri ala testata della valle per scendere poi a precipizio attraverso una galleria lunga un chilometro.
È tipico della popolazione indigna tenace e resistente l’aver intrapreso il gigantesco lavoro di costruzione della galleria interamente a mano, senza avvalersi di altri mezzi, almeno nella fase iniziale.
“Anche se ci vorranno ancora molti anni per compilare i dati statistici di questa terra selvaggia, un’analisi approssimativa delle caratteristiche fisiche della regione offre un panorama grandioso.
I grandi fiordi
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Entro i suoi confini si trovano quasi 200 isole, almeno 300 vette oltre i 1.500 metri, molte delle quali a picco sul mare, 12 ghiacciai, 15 grandi fiordi.
Fiordi che si suddividono in altri dieci fiordi minori le cui acque si addentrano tra le montagne, centinaia di cascate, tra le quali quelle di Sutherland, fra le più alte del mondo.
Non è mai stato fatto un conto preciso dei laghi della Fiordland, ma un’ipotesi attendibile li fa ammontare a oltre 300.
“Non ci vuole molto a capire che le stesse forze che tengono lontano l’uomo dalla Fiordland sono quelle che mantengono intatto l’ambiente naturale.
Dopo l’avvento dell’elicottero vaste zone delle catene montuose e degli altipiani erbosi sono state scoperte da pescatori, cacciatori professionisti e occasionalmente da cercatori d’oro.
Ma ci sono ancora molte valli inaccessibili dove con ogni probabilità vivono piante e uccelli praticamente scomparsi dal resto della Nuova Zelanda.
“Un campeggiatore ha raccontato di essere stato morso da un insetto simile a una formica lungo cinque centimetri.
Gli entomologi assicurano che nella Nuova Zelanda non esistono animali del genere un altro de i misteri della terra dei fiordi
A quanto pare, si può ancora sentir risuonare nelle foreste della Fiordland il verso del “gufo che ride“, simile al grido di una donna isterica.
I naturalisti, convinti che una specie di pipistrello (gli unici mammiferi nativi della Nuova Zelanda sono i pipistrelli) fosse ormai praticamente estinta. Ma si rallegrarono quando cacciatori di cervi capitati per caso da quelle parti riferirono di aver avvistato quegli animaletti in 68 località diverse della Fiordland.
“Ma niente finora ha eguagliato l’entusiasmo suscitato dalla riscoperta del takahe da parte del dottor Geoffrey Orbell.
Il dottor Orbell
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Esperto cacciatore, già presidente dell’Associazione cacciatori di cervi della Nuova Zelanda, il dottor Orbell era a caccia in una zona poco conosciuta a occidente del lago Te Anau
Auando scoprì delle orme di uccello che senz’ombra di dubbio gli parvero del takahe, un grosso uccello incapace di volare appartenente alla famiglia dei rallidi e noto scientificamente con il nome di Notornis Mantelli.
Ma solo quattro esemplari vivi del takahe erano stati catturati fino ad allora, l’ultimo 50 anni prima, di modo che si riteneva fosse estinto.
“Tuttavia, un giorno dell’aprile 1948, il dottor Orbell seguì quella tenue traccia fino al centro della Fiordland. Risalì una valle che faceva capo al bacino di un lago glaciale dalle rive orlate d’erba.
Tra i ciuffi di agrostide e di poa, Orbell scoprì prove inconfondibili che grossi uccelli si erano nutriti di quelle graminacee.
“Prima che si facesse buio, Orbell aveva riscoperto il takahe. Successive esplorazioni hanno dimostrato che esemplari di questo rosso uccello sono largamente distribuiti tra i Monti Murchison.
La cosa più strana è che un uccello notevolmente più grosso di un gallo, con penne di color indaco e verde intenso, zampe e becco rossi, abbia potuto restare inosservato per tanto tempo senza che se ne sospettasse neppure l’esistenza.
Un takahe
Nel corso degli anni, tuttavia, la vastità della Fiordland ha occultato alla vista dell’uomo animali ben più grossi del takahe. Anche questo fenomeno fa parte dei misteri della terra dei fiordi
Le alci canadesi in libertà
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Una sessantina di anni fa, dieci alci canadesi vennero messi in libertà sulla punta del Dusky Sound.
Queste grosse bestie dal carattere difficile scomparvero, senza lasciare la minima traccia, nell’intrico delle foreste pluviali. Per 17 anni si credette che gli alci fossero morti.
Verso la fine degli anni Venti il branco, apparentemente in ottima salute, riapparve ma sparì di nuovo altrettanto velocemente per non farsi più vedere per altri 15 anni.
Con grande sorpresa dei cacciatori e degli zoologi, due alci furono però catturati poco dopo il 1950. “Dovevano passare altri vent’anni prima che un alce emergesse dal cuore della Fiordland.
Ma negli ultimi due anni, esemplari di questo animale sono stati avvistati sempre più spesso nella regione.
E all’inizio di quest’anno [cioè il 1972, nota nostra] una spedizione di scienziati e di funzionari dei Parchi Nazionali ha trascorso tre settimane in quella zona.
Nella vana speranza di scoprire questi grossi mammiferi dalle ampie corna importati dal Canada.
“Per certi appassionati della Fiordland, tuttavia, la sopravvivenza dell’alce e la riscoperta del takahe sono solo un preludio a fatti più sensazionali.
Infatti aspettano con ansia il giorno in cui i dinornitidi, detti anche moa, uccelli incapaci di volare indigeni della Nuova Zelanda, faranno la loro ricomparsa dopo alcuni secoli.
“Si sa che almeno 20 generi di moa popolavano un tempo le isole della Nuova Zelanda. Il più grosso era il dinornis, un gigante alto tre metri che pesava fino a due quintali, uno dei più grossi uccelli conosciuti.
Il takahe non è realmente estinto?
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Anche gli ornitologi più ottimisti riconoscono che il dinornis , cacciato dai Maori per anni e anni, si estinse almeno quattro secoli fa. Tuttavia nella famiglia dei moa cera un cugino di dimensioni più ridotte, poco più grosso di un tacchino.
Che ne è stato di lui? Non potrebbe essere sopravvissuto in questo lembo di terra inaccessibile?
“In linea generale, sono gli uomini più a contatto con la Fiordland – cacciatori, escursionisti, naturalisti – a nutrire le maggiori speranze che i moa delle foreste possano essere ancora vivi.
Harold Jacobs, capo delle guardie forestali del Parco Nazionale, dice:
“Questa è una terra selvaggia. Continuiamo a scoprire nuove specie di piante e di animali inferiori. Non mi sorprenderebbe se trovassimo dei moa.”
(9) -Un’immagine di un Moa su un francobololo.
Ed eccoci arrivati al suggestivo racconto relativo alla “Tribù Perduta”.
Un’ episodio che dovrebbe collocarsi verso la fine del XVIII secolo e addirittura dopo i primi due contatti dei Maori con gli Europei. Quello con il navigatore olandese Abel Tasman (1642-43) e quello del capitano James Cook (1769-1770).
Cook andava alla ricerca, per conto dell’Ammiragliato britannico, della mitica Terra Australe. (10)
“Ai neozelandesi romantici non contenti della possibilità di rivedere i moa, la Fiordland offre la legenda maori della “Tribù Perduta”. Gli storici fanno risalire l’episodio iniziale della vicenda al periodo immediatamente successivo alla permanenza del capitano Cook nel Dusky Sound, cioè intorno al 1780.
Tutto cominciò con una breve e sanguinosa contesa fra due fazioni tribali presso una piccola insenatura.
La fuga degli Hawea
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Una sottotribù ribelle, quella degli Hawea, era fuggita dalla costa meridionale rifugiandosi presso il lago Te Anau dopo aver ucciso un capo-tribù.
Un gruppo di guerrieri deciso a vendicarlo aveva inseguito gli Hawea e in una furiosa battaglia sulle rive del lago li aveva sconfitti. Tuttavia almeno metà della tribù era scampata al massacro e si era rifugiata sulle montagne.
“Come i moa, gli alci e i takahe, gli Hawea furono inghiottiti dalla Fiordland e scomparvero senza lasciar traccia.
Benché nei primi tempi della colonizzazione si parlasse di tanto in tanto di “indigeni selvaggi” che vivevano nella regione delle foreste.
“”Potrebbe darsi” dice uno studioso di questa terra “che la ‘Tribù Perduta’ abbia mangiato l’ultimo moa intorno al 1840.”
“Nebbiosa, remota e imprevedibile, la Fiordland conserverà probabilmente i suoi segreti per molti anni avvenire, offrendo agli esploratori una perenne sfida.
Offrendo ai neozelandesi un singolare anello di congiunzione con il lontano passato del loro paese.
Quando anche la valle più vicina era misteriosa, affascinante e irraggiungibile quasi quanto la superficie della luna.”
11) Un racconto più dettagliato e più completo dell’oscura vicenda è stato fatto dallo scrittore cecoslovacco Miloslav Stingl in una monografia sulle isole polinesiane.
Opera pubblicata dalla Casa Editrice Svoboda di Praga nel 1974. Egli è innanzi tutto un etnologo e un divulgatore scientifico, molto noto nel suo Paese e discretamente tradotto anche all’estero.
Il suo interesse per le popolazioni native – antiche e moderne – del Perù, del Messico, del Nord America e della Polinesia ne fa un osservatore particolarmente attento agli aspetti materiali e spirituali delle civiltà tradizionali extra-europee.
I misteri della terra dei fiordi
Dodici anni dopo l’opera è stata tradotta in italiano da una casa editrice specializzata in argomenti relativi al mare e alla navigazione,. Senza però che il capitolo in questione abbia suscitato particolari curiosità nel pubblico italiano o nella stampa, ormai fiorente (anche troppo!), che si occupa dell’insolito e del misterioso.
Riportiamo qui di seguito quanto scrive lo Stingl a proposito dei misteri della Fiordland e, in particolare, del mistero più fitto e più intrigante di tutti.
Quello della “Tribù Perduta” dei Maori.
La prima parte del capitolo intitolato
“Questi uomini si sono estinti come i moa”, in realtà, non parla della “Tribù Perduta” ma della pietra verde.
La pietra verde è la nefrite, di cui esistono ricchi giacimenti nel Milford Sound e anche altrove.
Mentre l’ultima parte si diffonde sugli uccelli neozelandesi e sulla scomparsa del Moa. Tuttavia abbiamo ritenuto di riportare integralmente l’intero capitolo, per uno scrupolo di completezza e per riguardo alle intenzioni dell’Autore.
Ci sarebbe parso poco corretto nei suoi confronti, infatti, spezzare arbitrariamente un discorso ch’egli aveva concepito come unitario.
“Verde come l’acqua del fiordo e non meno interessante è anche la pietra detta nefrite. Gli abitanti originari della Nuova Zelanda la trovarono qui, presso Milford, in maggiore quantità che altrove.
“Nel secolo scorso [cioè nel XIX, dato che l’Autore scrive nel 1974: nota nostra], anche i cacciatori di foche scoprirono la nefrite a Milford Sound.
Abbandonarono per essa la caccia, caricarono le loro panciute imbarcazioni di quella pietra rara e andarono in Cina, trasformando in moneta “l’oro dei Maori”. Ma inutilmente.
Il gusto cinese richiedeva un colore diverso da quel verde così caratteristico.
Oggi si conoscono diversi altri luoghi dove i primi abitanti della Nuova Zelanda hanno raccolto questo tesoro.
La nefrite dei maori
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La foce del piccolo fiume Paroari, l’insenatura di Kotorepi, la alle di Teremaku e innanzi tutto Rimu, accanto a Milford Sound, il più ricco.
“Il primo oggetto maori tipico che ho avuto tra le mani era di nefrite.
La compagnia turistica neozelandese “Air New Zealand” di cui un aeroplano mi ha portato ad Auckland, regala ai passeggeri che comprano un biglietto aereo transpacifico un singolare e tradizionale ornamento maori, che qui chiamano heitiki.
“Nella mentalità religiosa degli abitanti originari della Nuova Zelanda, Tiiki è spesso presentato come il primo uomo, come il primo abitante umano della terra, generato da genitori divini.
Ancor oggi, in vari luoghi, l’immagine di Tiki accompagna passo passo i Maori.
A volte un Tiki scolpito in legno, in grandezza naturale, orna la porta di un villaggio.
A volte un piccolo Tiki, anch’esso di legno, informa e ammonisce che il luogo da lui custodito è tabù.
“Solitamente un heitiki è costruito in nefrite. Solo eccezionalmente i Maori lo scolpiscono in osso di balena o con un teschio umano., L’altra parte del nome di quest’oggetto, la parola hei, significa semplicemente “collo”.
I Maori portano effettivamente al collo questo loro ornamento prediletto.
Esso misura da 5 a 15 centimetri e raffigura un Tiki seduto, con la testa inclinata sulla spalla. Il suo viso è sempre espressivo e consta di un’enorme bocca, di un naso stilizzato, grosse orbite e sopraccigli fortemente rilevati.
Cos’è l’oggetto denominato heitiki?
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“Sulla effettiva destinazione di quest’ornamento le opinioni degli scienziati che si occupano della cultura della Polinesia divergono. Per alcuni, l’heitiki è un simbolo della fecondità, per altri un’espressione del culto degli avi o un segno della fede nella rinascita. Non potrei dire quale affermazione sia più esatta o sicura.
“A quel che credo, i Maori che ancor oggi portano questo ornamento tradizionale non lo fanno per motivi di carattere religioso, ma manifestano così il loro orgoglio nazionale, l’amore per il proprio popolo e per la sua eredità culturale.
L’heitiki è oggi quasi diventato un simbolo di tutta la Nuova Zelanda.
E io mi sono portato con me questa figurina dalla terra della nefrite, dall’Isola del Sud, e la posseggo ancora. Mi dispiace soltanto che i costumi europei non consentano, a un austero scienziato di sesso maschile, di girare il mondo con un ornamento di nefrite al collo!
“Naturalmente, gli heitiki non erano l’ unico oggetto che i Maori confezionavano con la loro bella pietra verde.
Tra molte altre cose citerei volentieri la mere, cioè la mazza dei capi (una sorta di bastone di comando). “
“Gli abitanti originari della Nuova Zelanda ritenevano del resto che la nefrite fosse innanzi tutto un privilegio dei personaggi d’alto grado.
Tra i Maori vigeva questa tendenza:
“Tre cose sono necessarie all’ornamento di un capo: una mazza di nefrite, un mantello di pelle di cane e una casa scolpita”.
“In ogni caso, i Maori si rendevano conto che una cosa così bella come la nefrite non poteva essere una semplice pietra.
Di conseguenza le diedero un significato soprannaturale. In effetti, nei complicati miti dei primi neozelandesi, troviamo che la dea Te Anu Matao (sovrana del freddo e del gelo) andò sposa a Tangaloa, celebrato in tutta la Polinesia come dio del mare.
Il significato della nefrite per i maori
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Da questo sacro matrimonio nacquero quattro figli, dei quali una è Pounamu, cioè la nefrite.” (12) Ed eccoci giunti al punto che in questa sede ci interessa: la vicenda che sta alla base del racconto semi-storico (o semi-leggendario.
Fra i Polinesiani la distinzione è meno netta che in Occidente della “Tribù Perduta” dell’Isola del Sud.
Si noti che la versione riferita da Miloslav Stingl è diversa da quella narrata da Forbis: qui non si parla di una battaglia tra due diverse tribù maori, ma della scomparsa improvvisa di un’unica tribù, la stessa che aveva stabilito il primo contatto con il capitano Cook.
(13) L’epoca, tuttavia, è chiaramente la stessa, pochi anni dopo la visita del famoso navigatore inglese. Anche se verso la metà dell’Ottocento alcuni membri della tribù sarebbero stati rivisti, per l’ultima volta.
Il dato cronologica, comunque, fa pensare chiaramente trattarsi del medesimo episodio.
Episodio giunto soltanto in due versioni diverse, ma su una base comune agevolmente definibile; in particolare, è confermato il sottofondo guerresco di quei bellicosi abitanti della Fiordland.
Anche se il racconto di Stingl è, per certi versi, più dettagliato, ci sembra possibile, per non dire probabile, che ad esso manchi proprio l’elemento iniziale, (riportato invece da Forbis).
Una guerra intertribale fra gli Hawea e i Ngatimamoa, che avrebbe spinto i primi, usciti soccombenti dalla prova delle armi, a fuggire nell’interno di quella selvaggia regione, facendo perdere volontariamente le proprie tracce. Resta il fatto che tutti i Maori della regione scomparvero, per così dire, da un giorno all’altro: vincitori e vinti.
E proprio qui sta l’aspetto più sconcertante del mistero della “Tribù Perduta”. “Prima dell’arrivo dei bianchi, risiedeva nella favolosa regione dei fiordi e nei territori circostanti la stirpe degli Ngatimamoa.
Gli abitanti dell’isola.
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I primi Maori giunti nell’isola del Sud si chiamavano Waitaha; ma dopo vi giunsero i guerreschi Ngatimamoa e li sopraffecero. Solo pochi tra gli sconfitti furono accolti nelle stirpi dei vittoriosi.
“Nel secolo XVII una terza ondata di abitanti si trasferì qui dall’isola del Nord.
Ma anch’essi furono sopraffatti dagli Ngatimamoa. Poi approdò in uno dei fiordi di questa magnifica terra – in Dusky Sound – il capitano Cook. Ciò avvenne nel 1773.
L’esploratore inglese fu allora accolto dai Maori – evidentemente proprio gli Ngatimamoa – molto amichevolmente. “Nel 1842, alcuni cacciatori di foche videro nuovamente alcuni Ngatimamoa, in questi paraggi.
Da allora, in poco più di un secolo, nulla si è più saputo di loro. Una gente che, sebbene non sconfitta da nessuno, è, in modo del tutto incomprensibile, sparita dalla faccia della terra.
“Cercatori d’oro, boscaioli e cacciatori, diedero, in seguito, qualche notizia intorno all’esistenza di un gruppo maori, nella regione desertica del sud-ovest dell’Isola del Sud.
Presso il lago Te Anau fu rinvenuta l’orma di un piede scalzo.
Un medico neozelandese trovò tra le rocce a nord del lago l’osso di un femore umano, che doveva essere appartenuto a un uomo morto da un paio d’anni.
La sorte di questa stirpe maori, così inspiegabilmente perduta, mi aveva interessato già fin da quando ne avevo sentito parlare per la prima volta.
Alla ricerca d questi Maori svaniti nel nulla mi sono perciò arrampicato sulle pendici del Te Anau, allontanandomi da Milford Sound, per esplorare le più dimenticate insenature del Manipouri.
Naturalmente invano.
Una simile impresa richiede, in questo territorio così difficilmente accessibile, un’indagine profonda e di lungo respiro e non già qualche semplice escursione turistica.
“Questa stirpe attende fino ad oggi chi la riscoprirà.
La battaglia con i Ngatinamamoa.
Della sua esistenza fa fede il fatto che né i bianchi né altri Maori hanno sconfitto in battaglia gli Ngatimamoa: quanti dunque non sono morti naturalmente, nei deserti della terra dei fiordi, vivono forse ancora.
In qualche luogo nascosto delle foreste inaccessibili. Essi sarebbero allora l’ultimo resto di Polinesiani che – unici su queste terre – avrebbero evitato il contatto con il nuovo mondo.
Se non sono morti tutti? Nell’anno 1848 il valoroso studioso neozelandese dottor Orbell trovò, in una solitaria vallata dei Monti Murchison, altri esseri viventi che erano ritenuti estinti. [si tratta evidentemente di un refuso per 1948; e quella di Orbell era una semplice battuta di caccia, non una spedizione scientifica.Nota nostra]
La spedizione di Orbell scoprì, non lontano dal Te Anau, strani uccelli di uno stupendo colore azzurro.
I Maori chiamano questi ritrovati ralliformi neozelandesi takahe; gli scienziati, nella storia naturale, notornis mantelli.
“Del resto la Nuova Zelanda è un paradiso per gli amici degli uccelli.
A me piace più di tutti quello chiamato kiwi, che non ha ali e che orna monete e francobolli neozelandesi.
Oltre il bruno kiwi, altre insolite specie di uccelli vivono qui.
Per esempio i pappagalli kea, di color verde oliva, i quali, contrariamente a quanto sapevo dei pappagalli, sono cruenti, aggressivi uccelli da preda.
Piombano soprattutto sulle pecore e divorano reni e intestino della loro preda ancora vivente.
“Un pacifico cugino del kea è l’uccello notturno kakapo o pappagallo-civetta, che vive esclusivamente nel selvaggio territorio dei fiordi.
Il miglior cantore della Nuova Zelanda è il kokorimoko; gli indigeni lo chiamano “l’uccello del campanellino” perché la sua voce ne ricorda il suono.
I volatili dell’isola
Un altro uccello canterino è il poepoe o “succiamele”.
Un tempo, le sue iume formavano l’ornamento principale dei manti maori. “Mi ha anche ammaliato il gabbiano delle tempeste neozelandesi.
Quest’uccello – sotto altri aspetti tutt’altro che insolito – divide la propria dimora con una strana lucertola, che i Maori chiamano tuatara, “dorso spinoso”.
Durante la notte abita nell’alloggio comune l’uccello; di giorno, invece, mentre il gabbiano delle tempeste va a caccia, è la tuatara, che cerca il proprio cibo di notte, a rientrare nella casetta comune.
“Questo piccolo drago neozelandese è d’altronde una creatura oltremodo bizzarra.
Unico tra gli esseri viventi, ha un terzo occhio.
I Maori temono molto la tuatara; la considerano una specie di vampiro o cannibale. Cook, secondo notizie raccolte dai suoi informatori locali, la definì un “drago che divora la gente”.
In realtà, la tuatara si nutre di vermi e scarabei.
La lucertola a tre occhi vive sulla terra già da più di 150 milioni di anni. Questo fossile vivente venne in Nuova Zelanda quando ancora queste isole, l’Australia e l’America del Sud formavano un’unica massa di terra.
“Il principale alimento dei cacciatori maori era tuttavia – accanto ad altri uccelli – il gigantesco moa, un uccellaccio alto spesso più d’un uomo.
Eppure, questi uccelli corridori furono alla fine completamente sterminati. Ho potuto ancora vedere scheletri completi di moa neozelandesi nelle vetrine di alcuni musei locali, a Christchurch e a Dunedin.
Entrambe queste città custodiscono nelle loro collezioni numerosi scheletri di questi uccelli giganti, con poderose ossa del petto e forti gambe fatte per camminare, che hanno piuttosto l’aria di gambe di cavalli.
Un uovo di moa al museo
Nel museo di Dunedin ho perfino trovato un uovo di moa intatto, nonché una descrizione del contenuto dello stomaco e dell’intestino di questi grossi animali. Si nutrivano esclusivamente di piante.
“Dalle ricerche archeologiche condotte nell’Isola del Sud, è risultato a poco a poco che non furono i Maori a sterminare i moa, ma un gruppo di immigrarti polinesiani giunti in Nuova Zelanda molto tempo prima dei viaggi delle note imbarcazioni provenienti da Hawaiki: addirittura al principio del nostro millennio.
La data più antica, che si è ottenuta con l’ausilio del radiocarbonio, a Wairau, corrisponde all’anno 1.125 ± 50 anni.
I cacciatori di moa, come vengono chiamati questi primi neozelandesi, predecessori dei Maori, uccidevano gli animali giganti con mazze di nefrite
. “Gli archeologi hanno già ritrovato tutta una serie d’insediamenti dei cacciatori di moa.
Accanto alle ossa degli animali uccisi e alle mazze di nefrite, vi si rinvengono quasi sempre numerosi focolari, sui quali i cacciatori arrostivano le proprie prede, ricoperte d’argilla, poggiandole su pietre roventi.
Questi primitivi abitanti della Nuova Zelanda avevano sicuramente – come anche i conquistatori di altre isole del Pacifico finora sconosciute – portati con sé dalla originaria patria tropicale tutte le piante utili più importanti.
Ma, tranne la patata dolce, nessuna altra prosperò nella fredda e umida Isola del Sud.
“Sul principio, nei luoghi di ritrovamento archeologico, si presentano molto frequentemente, insieme con le ossa di moa, orme umane. Ma poi gli scheletri degli uccelli diminuiscono e resti di nuovi alimenti li sostituiscono: pesci e molluschi.
“E infine il moa si è estinto del tutto. E insieme a lui i cacciatori di quel grande uccello. Nella storia della Nuova Zelanda un nuovo uomo appare sulla scena: il Maori.
I cacciatori di moa
I discendenti della gente venuta con le grandi piroghe.
“La scienza deve ancora stabilire quale rapporto esistesse tra quegli antichi e scomparsi cacciatori di moa e i nuovi venuti, dediti all’agricoltura. 4
I cacciatori di moa sono spariti come la stirpe degli Ngatimamoa, come sono spariti tanti altri popoli.
“È rimasto soltanto un modo di dire, una frase che i Maori ripetono spesso e contro la quale vorrei protestare e arrabbiarmi.
Una frase che è come un requiem, un grande requiem per tutte le genti sterminate ed estinte, Indiani, Melanesiani, Australiani e, purtroppo, anche questi Polinesiani.
L’alata parola dei Maori che dice:
“Questi uomini si sono estinti come i moa”.(14) Arrivati a questo punto, e dopo aver esposto i non molti fatti di cui siamo in possesso, non ci resta che tentar di avanzare alcune possibili ipotesi circa il destino di quegli indigeni che, forti e attivi al tempo di Cook, soltanto pochi anni dopo parevano essersi dissolti nel nulla.
Tra le fitte nebbie dei monti e dei boschi pluviali della Fiordland.
Le possibili ipotesi circa il destino della tribù indigena
1) La “Tribù Perduta” non è mai esistita e, quindi, non è mai scomparsa: si tratta di una leggenda puramente fantastica del folklore maori.
Contro questa ipotesi, che potremmo definire totalmente negazionista, sta il fatto che i Ngatimamoa sono effettivamente scomparsi e che, nel 1842, alcuni uomini bianchi ne videro un piccolo gruppo.
Se la loro esistenza è stata un fatto storico (e ne abbiamo le prove, in particolare dalla relazione di James Cook), allora anche la loro scomparsa deve esserlo.
E come tutti i fatti storici, non po’ essere elusa con una semplice alzata di spalle.
2) La “Tribù Perduta” si è estinta in seguito alle guerre con altre tribù maori o con gli uomini bianchi.
Questa ipotesi, che potremmo dire riduzionista, appare altrettanto insostenibile della precedente. Non abbiamo alcuna testimonianza di guerre che portarono alla distruzione dei Ngatimamoa o del sottogruppo degli Hawea.
Inoltre, sarebbe stato trovato perlomeno qualche resto archeologico: resti di capanne, sepolture, ossa, manufatti, ecc.
Anche se sterminato da vicini spietati, un gruppo umano non può scomparire nel nulla, senza lasciare ila minima traccia del proprio passaggio.
3) La “Tribù Perduta” si è estinta a causa della scomparsa dei moa e di ogni altra selvaggina.
Lontani dal mare, gli indigeni non potevano pescare o raccogliere molluschi e crostacei; e il clima freddo ed estremamente piovoso non consentiva di coltivare nemmeno la patata dolce.
Così, quando ebbero ucciso l’ultimo moa, i Maori non ebbero più nulla da mangiare e perirono di fame.
La teoria della pandemia
Si potrebbe anche pensare che furono distrutti da una qualche epidemia, cosa non rara fra i popoli delle società pre-moderne.
Contro queste ipotesi valgono, però, le stesse obiezioni che abbiamo fatto per la precedente: qualche segno del loro stanziamento avrebbe dovuto, in ogni caso, rimanere.
4) La “Tribù Perduta” è migrata, via terra o, magari, via mare, in qualche atro luogo: sulla più favorevole costa orientale dell’isola del Sud, o magari ancora più lontano, verso l’isola del Nord o verso le Isole Chatham.
Riesce però estremamente difficile ammettere questa ipotesi, sia perché è difficile pensare che un consistente gruppo umano possa migrare da un giorno all’altro senza un piano preciso.
Sia perché alcuni indigeni furono comunque avvistati casualmente, circa sessant’anni dopo la loro scomparsa, negli stessi luoghi di prima; sia infine, perché qualcosa di una eventuale migrazione sarebbe stato tramandato, come sempre in questi casi, nei racconti orali dei loro discendenti, una volta stabilitisi nelle nuove sedi.
5) La “Tribù Perduta” esiste ancora, o almeno ne sopravvivono alcuni individui.
Certo, è questa un’ipotesi assai arrischiata; però non dovrebbe essere scartata aprioristicamente come frutto di fervida immaginazione.
Noi sappiamo, ad esempio, che un minuscolo gruppo di indiani Yahi della California, braccati a morte dall’uomo bianco nella seconda metà dell’Ottocento, riuscirono ad occultarsi nella boscaglia per molti decenni.
Finché il loro ultimo rappresentante, chiamato Ishi, si consegnò spontaneamente agli abitanti di Oroville, nel 1911. (15) Accolto benevolmente e studiato da alcuni etnologi come “l’ultimo uomo dell’età della pietra” in pieno XX secolo, sopravvisse altri cinque anni prima di morire, nel 1916.
(16) Un caso ancor più spettacolare, sia per il numero delle persone coinvolte che per la data assai più recente, è stato, nel 1975, quello della scoperta dei Tasaday.
La tribù dell’isola Mindanao
Una piccolissima tribù dell’isola di Mindanao, nelle Filippine, che viveva in grotte e conduceva un’esistenza totalmente “primitiva”. (17)
6) La “Tribù Perduta”, o quanto di esso sopravviveva, è stata al centro di un clamoroso caso di ciò che i parapsicologi definiscono asporto o, se si preferisce, è stata “risucchiata” – per così dire – in un’altra dimensione spazio-temporale.
Siamo perfettamente consapevoli ella stranezza, anzi dell’assoluta bizzaria di questa ipotesi; però il lettore, prima di escluderla senza ulteriore approfondimento.
Tenga presente che i due fenomeni dell’apporto e dell’asporto, ben noti nel caso di oggetti, in alcuni casi documentati hanno coinvolto anche esseri umani.
Nel 1593, a Città del Messico, comparve un soldato spagnolo della guarnigione di Manila, distante migliaia di chilometri.
L’uomo non sapeva spiegare come fosse giunto lì, ma le notizie di cui era latore (la morte violenta del governatore delle Filippine) vennero confermate da un veliero giunto due mesi dopo.(18)
Viceversa, un agricoltore americano di nome David Lang, il 23 settembre 1880, scomparve letteralmente proprio davanti a casa sua, sotto gli occhi di cinque testimoni, tra i quali la moglie, a Gallatin, nel Tennesse.
Sua figlia, giorni dopo, ne udì ancora la flebile voce, poi più nulla. (19) Il fatto destò un tale scalpore che il famoso scrittore Ambrose Bierce ne trasse ispirazione per uno dei suoi racconti del terrore, intitolandolo La difficoltà di attraversare un campo..(20)
Per quanto riguarda la scomparsa di interi gruppi, il caso certamente più sconvolgente sarebbe (il condizionale è d’obbligo) quello del reggimento inglese (più di 1.000 uomini) “scomparso” in una specie di nuvola bassa.
Il 28 agosto 1915, nella Penisola di Gallipoli, durante un’azione contro le postazioni turche; e i cui membri non vennero mai più ritrovati, né vivi né morti.
La strana nube avvistata dai soldati
“La fonte di questa notizia è stata una testimonianza, resa pubblica 50 anni dopo l’incidente, di tre soldati neozelandesi.
I soldati dichiararono di aver osservato una densa nube, di aspetto solido e a forma di fetta di pane, abbassarsi fino al suolo, sul cammino di una colonna di truppe in avanzata.
Dopo che gli uomini vi furono dentro, la nube si alzò, lasciando il terreno deserto.” (21)
7) Tralasciamo volutamente ipotesi ufologiche o, in genere, di stampo extraterrestre, non perché siano del tutto impensabili, ma perché manca, in questo caso, il minimo indizio che porti in una tale direzione ( avvistamenti di oggetti volanti sconosciuti, segni sul terreno, ecc.).
Come del resto è logico, dato il tempo e il luogo della vicenda.
Ma non avrebbe senso dilungarsi su un tipo di ipotesi che prescindono totalmente da ogni e qualsiasi sforzo di spiegazione “normale” (o, al limite, paranormale), per compiere un puro e semplice salto nel buio.
Che altro dire?
La storia della “Tribù Perduta” non è la prima né l’ultima nel suo genere, per quanto il grande pubblico ignori che si tratta di fenomeni relativamente frequenti.
Certo, per molti di essi è possibile una spiegazione semplice e razionale, come per la già citata scomparsa dell’armata persiana di Cambise, in Egitto, di cui parla il “padre della storia”, Erodoto.
Le persone scompaiono, dopo tutto, ogni giorno; e le cause possono essere le più svariate.
Solo in piccola parte si tratta di scomparse misteriose; ma quella piccola percentuale esiste, e non è suscettibile di essere liquidata con superficiale leggerezza.
La scomparsa di un intero gruppo umano, al contrario, è un evento certamente raro ed anomalo, che sfida oltre ogni limite le nostre capacità di spiegazione razionale e verosimile.
Come porsi di forse al mistero?
Parlando in generale, ci sembra che esistano essenzialmente due maniere di porsi di fronte al mistero.
La prima è quello di considerarlo un muro che ci sbarra la strada, cioè un ostacolo imprevisto e insopportabile, che va abbattuto, scalato o aggirato, insomma piegato ai nostri voleri – per meglio dire, ai voleri della ragione calcolante.
La seconda maniera è quella di vedere in esso uno stimolo e, al limite, una finestra: una finestra spalancata su qualcos’altro, qualche cosa di alieno.
n questo caso, la ragione non si sente sfidata né umiliata, bensì sollecitata a fare spazio ad un modo di vedere la realtà che non escluda altre forme e possibilità di comprensione.
A fare un atto di doverosa umiltà e a riconoscere – come dice Shakespeare nell’Amleto – che “vi sono più cose fra cielo e terra di quante possa sognarne tutta la nostra filosofia”.
NOTE
1) ERODOTO, III, 25-26; LIGABUE, Giancarlo (a cura di), L’armata scomparsa di re Cambise, Venezia, Erizzo Editrice, 1990; Id., Sono questi i resti dell’armata di Cambise, su Atlante, dic. 1984, pp. 36-45.
2) LAMENDOLA, Francesco, La bambina dei sogni e altri racconti, Poggibonsi, Lalli Editore, 1984.
3) LAMENDOLA, Francesco, La navigazione antartica di Hui-Te-Rangi-Ora. Una epopea polinesiana sulla rotta del Polo Sud, su Il Polo, riv. dell’Ist. Geogr. Polare fondato da Silvio Zavatti, Fermo, vol. 2, giu. 1988, pp. 12-35.
4) CORNA PELLEGRINI, Giacomo-RAITERI, Silvio, Nuova Zelanda, Milano, Touring Club Italiano, 1990, pp. 189, 145.
5) LEWIS, David-FORMAN, Werner, I Maori, un popolo di guerrieri, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1983, p. 24.
6) Cfr. le bellissime fotografie della flora scattate dalla spedizione scientifica del prof. Pichi-Sermolli, in MONTALENTI-Giuseppe-GIACOMINI, Valerio, Corso di biologia per le scuole medie superiori, Firenze, Sansoni 1970, p. 315; e BIASUTTI, Il paesaggio terrestre, Torino, U.T.E.T., 1962, tav. 13 f. t. (fra p. 368 e p. 369).
7) Cfr. BIASUTTI, Renato, Op. cit., pp. 371-375.
8) Cfr. LAMENDOLA, Francesco, La scoperta antartica di Hui-Te-Rangi-Ora, cit., p. 31, nota 8. Le spedizioni di pesca dei Maori alle isole Auckland cessarono del tutto solo nel XIX secolo, quando questo popolo, divenuto sedentario, dimenticò per sempre le tradizionali conoscenze e abilità, che ne avevano fatto uno dei più arditi al mondo nel campo dei viaggi marittimi.
9) FORBIS, John, Un paese che resiste alla sfida dell’uomo, in Selezione dal “Reader’s Digest”, settembre 1972, pp. 147-152.
10) Cfr. LAMENDOLA, Francesco, Terra Australis Incognita, su Il Polo, vol. 3, 1989, pp. 51-58; Id., Mendana de Neira alla scoperta della Terra Australe, su Il Polo, vol. 1, 1990, pp. 19-24; Id., Alla ricerca della Terra Australe, su Kur, period. dell’Ass. “La Venta, Treviso, 2007.
11) FORBIS, John, cit., p. 152.
12) STINGL, Miloslav, L’ultimo paradiso. Misteri e incanti della Polinesia, Milano, Mursia, 1986, pp.225-226.
13) ZAVATTI, Silvio, I viaggi del capitano James Cook, Milano, Schwarz, 1960, pp. 101-109.
14) STINGL, Miloslav, cit., pp. 225-228.
15) DOPLICHER, Mario, Come l’uomo scopre il suo mondo, Milano, Soc. Editrice Vie Nuove, 1973, pp. 19-24.
16) KROEBER, Theodora, Ishi, un uomo tra due mondi. La storia dell’ultimo indiano Yahi, Milano, Jaca Book, 1985.
17) HILL, L. G.- LITT, B., I Tasaday, in I popoli della Terra, vol. 9: Indonesia e Filippine, Milano, Mondadori, 1981, pp. 38-49.
18) WILSON, Colin, Realtà inesplicabili, Milano, Rizzoli, 1976, pp. 29-31.
19) BOAR, Roger-BLUNDELL, Nigel, Fantasmi, Milano, Fabbri Editori, 1998.
20) BIERCE, AMBROSE, Tutti i racconti dell’orrore, Roma, Newton Compton Editori, 1994.
21) BEGG, Paul, Into Thin Air, The Unexplained Mysteries of Mind Space and Time, vol. 3; WILSON, Colin, Op. cit., pp. 26-28. Articolo scritto da Francesco Lamendola
I misteri della terra dei fiordi articolo scritto da Francesco Lamendola.
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