Quando gli archeologi giocano col fuoco
Articolo scritto da Francesco Lamendola: Quando gli archeologi giocano col fuoco
Nulla di più normale, anzi, di più benemerito, per la moderna archeologia, che violare antiche sepolture, profanare mummie e cadaveri, trafugandone i resti. Resti che verranno in seguito sottoposti a chissà quali esami di laboratorio per poi annunciare trionfalmente sulla stampa a grande tiratura:
“Tutankhamon è morto assassinato”; oppure: “Risolto il mistero dei sacrifici umani presso i Fenici e i Cartaginesi”.
Certo, perché gli studiosi non dovrebbero penetrare a piacere in quei luoghi, perché non dovrebbero manipolare senza riguardi quelle povere ossa umane? Soprattutto quando gli archeologi giocano col fuoco.
Lo fanno in nome della scienza, dunque per il bene dell’umanità, ma quando gli archeologi giocano col fuoco?
Qualcuno potrebbe ingenuamente obiettare che, per il bene dell’umanità, forse non è poi così fondamentale chiarire la natura della morte di un lontanissimo faraone, ma è chiaro che non si tratta di questo o quel fatto. Si tratta del diritto della scienza di indagare a trecentosessanta gradi.
La scienza, secondo il moderno paradigma involuzionista, non deve porre alcun limite alla propria ricerca: tutto quello che essa è in gradi di indagare, dev’essere indagato; tutto quello che è in grado di fare – clonazione, manipolazione genetica, fecondazione extrauterina – deve essere fatto.
Altrimenti, affermano i campioni del moderno scientismo, sarebbe come se Galilei fosse stato processato invano, e invano il copernicanesimo fosse stato condannato dal Santo Uffizio.
Ritorno al Medioevo?
E noi non vogliamo mica tornare al Medioevo e alla Controriforma, non è vero solo perchè gli archeologi giocano col fuoco?
“Aver portato alla luce certe vestigia è la stessa cosa che aver disseppellito un cadavere, con l’aggravante però, dato che questi resti sono collegati ad una condizione di degenerazione, che si tratta del cadavere di un appestato o di un lebbroso, ancora infetto e portatore di terribili germi.
“Gli archeologi profani, totalmente ignari di certi rischi, si aggirano tranquillamente tra queste rovine, ed hanno addirittura creato una disciplina scientifica su come effettuare scavi sistematici e il più profondi possibile.
“E se pure sono bravissimi in questa loro attività nel rimuovere la terra e la sabbia che ricopre queste rovine, in realtà non sanno nemmeno cosa vanno a smuovere, e con quali effetti.
Le spedizioni e le disgrazie
“Può succedere poi- come è realmente successo – che intere spedizioni incontrino una serie impressionante di disgrazie e che in parecchi periscano, così come capitò negli Anni Venti a numerose persone collegate alla scoperta in Egitto della tomba di Tutankhamon, che morirono in breve tempo e in strane circostanze.
“Si parlò allora di una ‘vendetta dei faraoni’ e tutto questo, naturalmente, venne considerato dagli scienziati ‘superstizione ed ignoranza’; ma, dato che episodi simili sono realmente accaduti, bisognerebbe stabilire chi sia effettivamente l’ignorante e se la superstizione a cui si allude non sia un genere del tutto nuovo, moderno, che si potrebbe meglio attribuire alla scienza e chiamare ‘superstizione scientifica’”.
(da Fabio Ragno, Iniziazione ai Miti della Storia. Frammenti di una storia perduta, Roma, Edizioni Mediterranee, 1999, p. 137). Complemento dell’articolo “Quando gli archeologi giocano col fuoco”
Se tutto questo è vero, allora bisogna ripensare i modi, le finalità e la natura stessa dell’archeologia.
È possibile che lo scorrere del tempo, di per sé, renda lecito tutto: la profanazione dei luoghi sacri, il forzamento delle necropoli, la dispersione dei cadaveri?
Quando gli archeologi giocano col fuoco
Tutte azioni che, effettuate in un moderno cimitero o in un moderno luogo di culto, sarebbero considerate al tempo stesso reati dal punto di vista del codice penale, e sacrilegi dal punto di vista (per coloro che vi credono) della legge divina. E che in effetti talora accadono: e gli autori di tali profanazioni sono, in genere, gli adepti di qualche setta satanica.
Dunque, quegli archeologi che senza alcun riguardo compiono profanazioni nei luoghi di culto e di sepoltura o, peggio, manipolano antichissime salme, sono i portatori – più o meno inconsapevoli – di un agire satanico.
Dal punto di vista delle forze che essi mettono in movimento, si possono paragonare agli untori di manzoniana memoria:
deliberati diffusori di germi pestilenziali. Con la sola differenza che gli untori, nella Milano del 1630, probabilmente non esistettero (esistettero, questo sì, gli stregoni: ed esistono ancora); mentre gli untori della modernità esistono eccome: sono gli archeologi senza coscienza e senza alcun senso del limite, umano e divino.
Ci sia permesso riportare un brano del libro di Franco Rho Perù e fantasmi
(Novara, De Agostini, 1964, pp. 43-49.) Complemento dell’articolo “Quando gli archeologi giocano col fuoco”
La spedizione archeologica
L’autore aveva partecipato aduna spedizione archeologica nel paese sudamericano ed era venuto a contatto con la credenza, fortemente radicata presso gli abitanti di quei luoghi, della presenza reale e operante degli spiriti degli antichi sovrani.
Particolarmente cariche di ‘presenze’ erano percepite le huacas, ossia quelle piramidi irregolari di argilla, frequenti nel nord del Perù e specialmente nella zona costiera ai piedi della Cordigliera delle Ande, che servivano per riti religiosi nel periodo precedente gli Incas.
Si noti che l’atteggiamento dell’autore è sostanzialmente scettico, e tuttavia un brivido di perplessità sembra sfiorarlo, laddove egli riferisce certi fatti e certe dicerie che, fra gli indigeni, sono considerati come perfettamente verosimili e veritieri.
“Pablo Sànchez ci guardava con occhi allucinati e le sue labbra esangui scoprivano denti cariati in un ghigno sproporzionato alla sua figura meschina
Le mani di Pblo si muovevano senza una meta, indugiando sul collo sporco della camicia, correndo alle tasche sfondate, risalendo al bavero della giacchetta di tela, scendendo ai pantaloni sfilacciati.
“Gli indiani sono rispettosi e spesso anche cordiali con il gringo, ma quello non sembrava lieto di vederci, quasi fossimo entrati in casa sua senza invito e invece si trattava di unahuaca aperta sul deserto da ritenersi suolo pubblico, non privato.
“Pablo sembrò addomesticarsi davanti al saluto ossequioso di Jorge, ma non abbandonò del tutto il suo fiero atteggiamento nemmeno davanti alle nostre mani tese, che strinse con degnazione.
La huaca è mia
“- La huaca è mia – disse Pablo.
” – Ci permettete di guardarla? – Jorge chiese.
” – Lui mi ha nominato custode – brontolò l’indiano.
” – Lui chi? – domandai. “Sànchez spostò lo sguardo da Jorge a me, incredulo di tanta ignoranza; togliendosi il sombrero di paglia, lo agitò dietro a sé, dietro l’imboccatura di una caverna nell’argilla: – Lui – mormorò con rispetto – il re.
” – Certo, il re – disse Jorge.
“L’indiano s’accosciò rassegnato all’intrusione, alzò le sopracciglia cespugliose sugli occhi febbricitanti.
“- Da dove venite? – chiese. – Venite dal Sud? Venite da Lima? Il senor – continuò additando il professor Muelle – è un indio, come me, ma gli altri sono gringos.
“Jorge ardeva dal desiderio di ficcare la testa nell’imboccatura della caverna, ma fra le doti sue c’è la pazienza, e pazientemente spiegò: – Siamo venuti per sapere le storie de re; ecco, vedi, ci togliamo il cappello.
“Ci affrettammo a scoprirci il capo, ma il tono di Pablo ridiventò aggressivo: – Volete profanare tombe? -.
” – Vogliamo studiarle e lasciare tutto come si trova -, disse Bonavia in tono suadente.
” – Deve parlare soltanto l’indio – ordinò Pablo. – Non è per offendere; il re non mi permette di parlare con gente d’altra razza. –
Quando gli archeologi giocano col fuoco
“Jorge s’era seduto accanto al ‘custode’ e volle che offrissimo sigarette; l’ometto scuro ne prese un bel po’, rabbonito, pronto però a tornare in guardia.
Cominciò un colloquio lungo; Jorge parlava per illustrargli la nostra attività e spesso Pablo lo interrompeva per qualche domanda; alla fine si rimise in piedi e disse: – Guardate! -.
“Si volse, correndo verso l’imboccatura della caverna ove entrò, investito da una nuvola di pipistrelli: gli sporchi volatili turbinavano fin sulla soglia dalla quale li respingeva la luce violenta
Stridevano sbattendo le ali con un rumore di vento e, ormai scomparso nel buio, Sànchez gridò: – Non entrate! Non entrate! -.
“Duccio non intendeva obbedire al vecchio, ma non appena oltrepassata l’imboccatura della huaca fu scacciato dai pipistrelli. Ansimò: – Ci sono anche le vespe a migliaia?-.
“L’ometto tornò tranquillo e ridacchiò: – A me non fanno niente. -. “Il fenomeno ci sorprese poiché sembrava possibile superare l’avversione per i pipistrelli, ma non l’assalto delle vespe.
“- Hai pelle dura – dissi all’indiano.
“- Sono il custode del re. Nulla può accadermi -, rispose con sussiego.
“Jorge riteneva che il nostro uomo fosse maturo e gli tese dieci soles. ”
– racconta com’è la storia – lo pregò e l’altro ficcò il denaro in una tasca senza guardarlo; fissava invece un punto lontano, all’orizzonte del deserto, dietro le nostre spalle; assunse un’aria ispirata.
Il re e la sua regina:
” – Li sento parlare ogni giorno, verso il tramonto e li ascolto fino al mattino: il e e la sua regina.
Parlano dal profondo della grotta ove nessuno può giungere senza che i pipistrelli gli suggano il sangue e le vespe lo feriscano a morte.
Soltanto a me è permesso, solo a me. Le vespe uccidono per ordine del monarca, uccidono i profanatori. “Come vide che stavo scrivendo chiese: – Perché scrive? -.
” – È un periodista – gli spiegò Jorge – si occupa di giornali.
” – Bene – concluse il vecchio soddisfatto.
“Guardò di nuovo il deserto; la sua persona tremava e grosse gocce di sudore gli colavano fra la barba rada; tremava e sudava e non parlava spedito, come prima.
Farfugliava parole sconnesse; Jorge soltanto poteva connettere, scartando l’inutile e annotando la sostanza. “Pablo Sànchez non simulava, era caduto in una specie di trance e sempre lo scuotevano sussulti e il sudore abbondante gli finiva nel collo della camicia.
“Secondo Pablo, il re comandava quarantamila anime, quarantamila spiriti, quelli della huaca e del circondario.
Le ombre senza volto.
” – Le posso vedere – diceva l’indiano – sono ombre indefinite, senza volto; vedo il viso del re e non quello della regina che gli siede al fianco.
Il re parla castigliano, come la gente d’oggi. “Sànchez si portò le mani al petto, quasi tentasse di calmare l’affanno che lo opprimeva, poi disse: -Il vento gelido che sentite è il loro alito che muove le sabbie e le sabbie sono il loro manto.
Fanno profezie e prima che i germogli sboccino sulle quebradas [vallate], saprò se il raccolto sarà abbondante o scarso. Fanno profezie suoi raccolti.
Dopo un poco mormorò: – Posso dire se i parassiti o la siccità renderanno vana la fatica dei contadini; posso sapere se vivremo un anno d0’abbondana o di fame.
– “Il sole calava dietro la huaca; il freddo invase istantaneamente il deserto e rabbrividimmo, ma nessuno di noi si mosse per andare alla jeep a prendere i giubbotti; il racconto del vecchio ci paralizzava seduto sulla sabbia ancora tiepida.
” – nelle notti di luna – gridò Pablo agitandosi – il re mi grida di stare lontano; l’ira sua colpirebbe anche me, i fantasmi non vogliono luce, vogliono l’ombra eterna, abissi di buio, ombra, ombra, ombra?
-. Il grido dell’indiano si perse nel silenzio e muti restammo a lungo davanti al suo corpo inanimato.
“Infine l’uomo si girò faticosamente mettendosi ginocchioni; con le palme a terra volse il viso a noi, poi con un gemito, si levò sulle gambe malferme dirigendosi all’ingresso della huaca entro la quale scomparve.
Il dottore si alzò brontolando:
“È un turlupinatore, ci lasciamo fregare?-.
” – Sì – gli fece Duccio – è un pazzo –
“Jorge sorrise e disse che il vecchio non era pazzo o un mistificatore: vedeva effettivamente il re, la regina e i fantasmi. ”
– Ma come è possibile – chiesi – credere ai fantasmi? -. “
– Non avete letto le note di Fawcett su certi fenomeni? Il colonnello non fu uomo da farsi influenzare dall’ambiente e dal clima; un anglosassone come quello era essenzialmente pratico?-. ”
– E lei – Chierego osservò – che ha studiato a Berlino con Hule, che ha dipinto a Parigi, può credere ancora a certe storie? -.
” – Sono pure un buon cattolico – disse Jorge – ma conosco il Perù, conosco la gente della costa e gli indios della sierra e conosco, pur senza spiegarmeli, certi strani fatti: sono accaduti e accadono.
Non so altro -. “Avevamo incontrato Pblo Sànchez a Pacanga, presso Caìn, un pueblecito [piccolo villaggio] misero di contadini, nel bacino dello Jequetepeque, presso la costa, a monte della Panamericana.
“A Pacanga c’è una necropoli inesplorata che prende appunto il nome da Caìn e la huaca del re si chiama Las Estacas.
Muelle e Duccio effettuarono un sopralluogo minuzioso, disegnando schizzi e scrivendo annotazioni e solo a notte tornammo al pueblo ove chiedemmo di Sànchez. Nessuno lo conosceva e nemmeno si sapeva della leggenda sulle quarantamila anime a disposizione del re. “Jorge, con un risolino enigmatico chiese:
Esiste davvero Sànchez?
“Sulla Panamericana, per tornare a Guadalupe, nessuno parlò.
Che succederebbe, se ci lasciassimo suggestionare dalle mille leggende peruviane?
I frequenti fuochi fatui sul deserto sono dati dalle ossa dei trapassati, la chimica spiega tranquillamente la faccenda, ma i fantasmi, chi mai li ha visti?
” – Se lei non li ha visti – osservò Jorge – ciò non significa che nessuno li abbia veduti. È mai stato la notte nel deserto presso le huacas?
” – La fantasia dell’indiano è fervida – continuò Muelle – come del resto la fantasia di tutti i popoli semplici e primitivi.
Così nascono le storie dei duendes, gli spettri tanto noti a Fawcett; l’episodio più strano da lui riferito è successo in Bolivia, al posto di ristoro governativo di Yani dove, negli ultimi anni del secolo scorso, fu trovato un enorme giacimento d’oro –
“Quella storia è strana: due ufficiali boliviani di ritorno dal Beni, scesero giù a Yani fermandosi ad un tambo per passarvi la notte; vedendo una ragazza bellissima sulla soglia di una casa accanto al tambo, giocarono a testa e croce, con una moneta, a chi spettasse corteggiarla; l’ufficiale che perdette pernottò nella casa del corregidor, il capo del villaggio, l’altro se ne andò.
Non fece più ritorno e la sua testa mozza fu rinvenuta sul pavimento di una casa diroccata, la stessa ove l’ufficiale superstite aveva scorto – e lo giurò – la magnifica ragazza.
“Quella casa, spiegò il corregidor, non era abitata da chissà quanto tempo e la ragazza era un duende, un fantasma che non si faceva scorgere dagli indigeni, ma soltanto dai forestieri.
Fawcett ed i Duendes
“Fawcett ebbe anche un’avventura personale con i duendes a Santa Cruz, un villaggio nei dintorni di La Paz; così ne scrisse: ”
« La prima notte sprangai le porte – aveva preso in affitto una casa disabitata – e l’arriero [addetto alla cura degli asini; mulattiere] se ne andò nel suo appartamento.
Mi allungai nell’amaca e mi disposi a riposare comodamente tutta la notte. Mentre me ne stavo disteso e dopo avere spento la luce, in attesa del sonno udii qualcosa che si muoveva sul pavimento. Serpenti! Pensai e accasi immediatamente la luce.
Non vidi nulla; pensai quindi che fosse stato l’arriero a muoversi dall’altra parte del muro. Ma, appena spensi di nuovo la luce, risentii lo strano rumore, mentre un pollo attraversava starnazzando la stanza con rauche grida.
Di nuovo accesi la luce, chiedendomi come mai fosse entrato quell’animale e di nuovo non vidi nulla..
Ma, appena spensi la luce, ancora una volta udii camminare sul pavimento, come se un vecchio zoppo vi si trascinasse, calzato di pantofole di feltro. Era veramente troppo. Il mattino dopo, l’arriero venne da me tutto spaventato.
I fantasmi
“Fawcett continua scrivendo che il pover’uomo intendeva lasciarlo perché nella casa c’erano i bultos, cioè i fantasmi.
Il colonnello non era tipo da lasciarsi sopraffare da simili storie e la notte seguente si stese tranquillamente nell’amaca.
Ma nell’attimo preciso in cui si trovò al buio, udì un rumore, come di un libro gettato attraverso la stanza; a luce accesa non vide nulla ma più tardi, di nuovo al buio, tornò il pollo a starnazzare; per avere tranquillità l’esploratore si coricò con la luce piena.
Il duende?
La terza notte vennero fuori colpi e rumore di mobili fracassati, di tavole sul pavimento, di altri polli peggio dei primi.
“Fawcett non poteva dormire e lasciò la casa».
“Le luci della plaza de armas di Guadalupe ci distolsero dalle nostre meditazioni sui duendes.
Chierego saltò dalla jeep osservando allegramente che avrebbe mangiato anche un fantasma “
Non crede nemmeno a Fawcett – mi disse Jorge con il suo sorriso –.
” Questo brano presenta un notevole interesse e si presta a più d’una osservazione.
Presso i popoli nativi si è conservato un forte legame tra passato e presente
1-In primo luogo, presso i popoli nativi si è conservato un forte legame tra passato e presente, tra vivi e morte.
Il legame che la modernità, per la sua stessa natura, ha reciso da tempo, considerandolo uno dei maggiori ostacoli al cosiddetto progresso.
È quel legame a far sì che le società native si sentano in certo qual modo responsabili dei luoghi sacri, e particolarmente delle sepolture reali, nei confronti di ogni profanazione condotta dagli stranieri.
Davanti alla pretesa degli archeologi di penetrare nelle sepolture, gli indigeni reagiscono come reagiremmo noi davanti alla pretesa di alcuni sedicenti studiosi stranieri di violare i nostri cimiteri e di scassinare e depredare le nostre chiese.
Presso i popoli nativi non esistono i confini
2-In secondo luogo, presso i popoli nativi non esistono i confini neti e radicali tra la vita e la morte che noi a occidentali moderni, figli di Cartesio e di Francesco Bacone, sembrano così ovvi e scontati.
Di conseguenza, coloro che vivono presso le antichissime sepolture – in qualità di custodi (non per incarico di qualche ente governativo, ma per una chiamata dall’alto) – percepiscono la presenza reale degli spiriti che vi dimorano, con la stessa evidenza con la quale noi percepiamo la presenza fisica dei viventi.
Essi hanno sviluppato, per così dire, una seconda vista, che non è frutto di allucinazione ma, al contrario, di un affinamento dei sensi comuni.
Un po’ come gli animali, i quali possono vedere e udire colori e suoni che sfuggono alla vista e all’udito degli umani.
Il rispetto sacrale e il reverenziale timore
3-Il rispetto sacrale e il reverenziale timore che circonda i luoghi saturi della presenza dei trapassati non sono affatto una forma di superstizione (così come non lo è la riluttanza a lasciarsi, ad es., fotografare, cioè derubare di un doppio vitale).
Se a noi possono apparire tali, è solo perché, da tre o quattro secoli – ossia, appunto, dalla cosiddetta Rivoluzione scientifica – abbiamo introiettato la convinzione che la morte sia la fine di tutto.
Come fece scrivere l’ex abate Fouché, quando era rappresentante della Convenzione in missione nel 1793 sulla porta dei cimiteri francesi: “La morte è un sonno eterno”.
La credenza nell’immortalità dell’anima, cacciata dalla porta (dallo scientismo imperante), è rientrata però dalla finestre.
La ritroviamosotto forme degradate, dallo spiritismo alle pratiche di necromanzia e magia nera.
Gli animali sembrano e le presenze
4-Gli animali sembrano in grado di percepire quelle presenze che aleggiano nei luoghi impregnati di energia psichica.
Come i templi e le antiche sepolture, e anche di sintonizzarsi con le condizioni psico-fisiche dei viventi lontani nello spazio.
Come la cagnetta preferita di lord Carnarvon, lo scopritore (o il profanatore?) della tomba di Tutankhamon.
Che alle quattro del mattino del 4 aprile 1923, ora di Londra, si rizzò improvvisamente sulle zampe e morì: erano le ore due al Cairo, e in quello stesso istante il suo padrone spirava. Mentre un inspiegabile blac-out gettava la metropoli egiziana nel buio più assoluto.
Lady Burghclere, sorella di lor Carnarvon, lo udì mormorare un attimo primo di spirare:
“Ho udito il richiamo di Tutankhamon; sto per seguirlo.”
(cfr., fra gli altri, Yves Naud, La maledizione dei faraoni, La Spezia, Fratelli Melita Editori, 1990, p. 380). Complemento dell’articolo “Quando gli archeologi giocano col fuoco”
La credenza nei fantasmi
5-La credenza nei fantasmi, ovviamente, è altra cosa nella credenza degli spiriti custodi dei luoghi sacri.
I fantasmi possono essere di vario genere.
Quello di cui parla il primo racconto di Fawcett, relativo ai due ufficiali boliviani e alla bellissima ragazza che era, poi, un duende, ricorda piuttosto quelli relativi alle lamie del mondo greco-romano e, in particolare, all’episodio riferito da Filostrato nella Vita di Apollonio di Tiana.
Si tratta, infatti, non soltanto di una pura apparizione, ma di un fantasma che, attraverso la seduzione sessuale, provoca la morte dei suoi amanti occasionali.
In tutta l’America latina questa credenza è vivissima (ma anche in altre culture, spec. asiatiche); ne troviamo un riflesso nel celebre romanzo di Jorge Amado Donna Flor e i suoi due mariti.
Sbaglierebbe, tuttavia, chi pensasse a fantasie puramente letterarie.
Scrive Salvador Freixedo, ex gesuita messicano e studioso di fenomeni extra-terrestri.
“Quando ci si mette a studiare a fondo tutto ciò che ha a che vedere con la comunicazione tra vivi e defunti, si incontrano (?) casi straordinari, come quelli di coloro che vivono continuamente rapporti sessuali con defunti che si presentano tranquillamente nelle loro camere.
Questo avviene in genere con persone che praticano attivamente lo spiritismo, ma è considerato un grande peccato per le dottrine di questa scuola, soprattutto per coloro che seguono la linea kardechiana.”
(S. Freixedo, Contattati dagli Ufo!”, Hobby & Work ed., 1993, pp. 93-94).
Complemento dell’articolo “Quando gli archeologi giocano col fuoco”
La seconda testimonianza di Fawcett
6-La seconda testimonianza di Fawcett relativa ad una esperienza da lui personalmente, appare come il tipico caso di infestazione spiritica.
Non di poltergeist: non vi sono oggetti che volano; o meglio: gli ‘oggetti’ che volano per la stanza, così come gli animali e i rumori, non sono oggetti fisici, pur essendo estremamente reali (tanto da togliere il sonno).
Ricorda un po’ il celebre episodio della casa infestata dell’antica Atene, che fu ‘liberata’ dal filosofo Olimpiodoro (narrato da Plinio il Giovane in una sua celebre Epistola).
Difficile identificare l’origine dell’infestazione: non sembra trattarsi di un singolo spirito, ma di tutta una vita misteriosa che comprende uomini, animali e cose e che pare scaturire dalla casa stessa.
A meno che si tratti di ‘illusioni’ provocate da uno spirito infra-umano (diabolico?) allo scopo di confondere, ingannare, sconcertare i viventi e allontanarli da quel luogo, per qualche ignota ragione.
Una cosa, infine, sembra chiara: la moderna mentalità scientifica non possiede nemmeno gli strumenti concettuali per accostarsi ai fenomeni metapsichici relativi a particolari luoghi ritenuti ‘sacri’ (anche nel senso di ‘maledetti’, com’era nell’etimologia originaria del termine).
Tanto meno essa possiede una pur vaga idea delle forze occulte che tali luoghi custodiscono, specialmente se deputati alla conservazione di cadaveri mummificati.
L’opera dissennata e sacrilega degli archeologi può provocare delle autentiche irruzioni di energie malefiche nel mondo dei viventi, aprendo porte che dovrebbero rimanere sigillate, trasportando spoglie umane che dovrebbero riposare in pace.
Chi può dire se queste irruzioni non sono state all’origine di certi fenomeni storici di ottenebramento collettivo delle coscienze, scatenando conflitti sanguinosi di enorme portata distruttiva?
Scrive ancora Fabio Ragno:
“La penetrazione delle forze infere nel nostro mondo non si limita a una manifestazione di influssi, ma tende a una materializzazione sul piano fisico, che si verifica mediante una presa di possesso di potenzialità umane particolarmente grossolane, cioè con l’entrata – in senso letterale – in determinati individui.(?)
“La penetrazione delle forze infere tende infatti, nella sua massima espressione, alla creazione di un essere umano; un essere umano del tutto speciale, infero nel senso più completo della parola, da considerare alla stregua di una ‘soglia’ o come una via diretta e definitiva di accesso di queste forze nella materia.
“Tutto ciò al fine di ‘prendere’ il mondo, scopo ultimo che muove le forze infere.
“Per comprendere meglio quest’ultimo concetto di ‘conquista del mondo’ (ché altrimenti potrebbe apparire l’equivalente di una banale ambizione umana), si potrebbe definirlo come il progetto di un ‘assorbimento del mondo’ per acquistarne la consistenza, da intendersi come una vera e propria necessità di esistenza per queste forze, destinate altrimenti a qualcosa di simile a una dispersione da parte della Potenza Celeste.
“Per realizzare ‘l’essere umano infernale’ queste forze devono necessariamente operare su due piani: quello fisico (il corpo biologico animale) e, soprattutto, quello metafisico, ciò che costituisce per loro la ‘soglia’ vera e propria del mondo.
“Ora, nella normale costituzione di un essere umano l’intervento metafisico è dato da una scintilla divina che ‘scende’ e penetra in un corpo.
All’opposto, le forze infere (che invece devono effettuare una ‘risalita’ al piano umano) per realizzare il processo creativo devono trarre un’analoga potenza alla ‘scintilla’ lì dove essa si trova, cioè dagli stessi esseri umani e, più esattamente, dai residuipsichici – particelle infinitesime o scorie dell’anima – che permangono legati ai cadaveri dopo la morte.
I residui psichici
“Evidentemente, il processo può essere realizzato quando innumerevoli residui psichici di innumerevoli morti possono essere condensati, e questo può avvenire quando vi sia una strage immensa di individui in una breve scala temporale.
“La Prima e la Seconda Guerra Mondiale sono un esempio impressionante di questo?” (op. cit., p. 138). complemento dell’articolo “Quando gli archeologi giocano col fuoco”
Oltre ai gas, alle particelle radioattive, ai virus preparati nei laboratori militari e rilasciati con diabolica consapevolezza, le guerre favoriscono dunque una diffusione di residui psichici impregnati di fortissima negatività, provenendo da grandi masse di individui uccisi violentemente.
Residui psichici che si disperdono, come epidemie, dai campi di battaglia e dalle città distrutte dai bombardamenti, così come aleggiano intorno ai grandi mattatoi di Chicago e di altri centri della cosiddetta industria alimentare.
Perché anche gli animali, morendo di morte violenta, rilasciano terribili residui psichici in grado di contaminare l’atmosfera.
Nella profanazione delle antiche tombe si verifica un fenomeno analogo: e, se minore è il numero dei residui psichici rilasciati all’esterno, tanto più intensa è la loro carica negativa.
Perché i processi di mummificazione ne hanno ritardato la naturale dispersione ed essi hanno conservato, in maniera artificiale, una straordinaria carica energetica, anche ad opera dei rituali magici che ne hanno accompagnato la mummificazione, la sepoltura e i rituali funebri.
Riportare alla luce quelle sepolture e manomettere quei corpi significa veramente scherzare col fuoco.
Forse lord Carnarvon lo aveva compreso – ma ormai troppo tardi – quando pronunciò, sul letto di morte, quelle sue ultime parole:
“Ho udito il richiamo di Tutankhamon; sto per seguirlo”.
Articolo scritto da Francesco Lamendola : Quando gli archeologi giocano col fuoco